Arancini al ragù
La mia amica Giulia, grande cuoca, che da Catania si è trasferita a Pisa, coniugando in cucina la tradizione catanese con quella toscana, desidera sapere da me, che pur di comuni origini, vivo un po’ più su, in Emilia Romagna, come preparo gli arancini.
E parliamo di arancini alla catanese, consapevoli della secolare diatriba con i palermitani, che li (le) chiamano arancine, al femminile. Diatriba nella quale non voglio entrare, perché sarebbe fuorviante ai fini della ricetta.
Avendo vissuto a Catania fino a metà degli anni ottanta ho avuto modo di provare gli arancini in molte rosticcerie, in città e in provincia, e in altre città siciliane. Erano buoni quelli delle rosticcerie Stella e Pistorio, che si trovavano accanto a casa mia, la prima in via Ventimiglia, svoltando in giù, direzione mare, dall’attuale via De Curtis (dove si trovava il cinema Mirone, sede del mitico cineforum degli anni settanta – ottanta).
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La seconda proseguendo da via De Curtis per via Di Prima, dove iniziava il quartiere a luci rosse che prendeva nome da via Delle Finanze, la strada che parte dal palazzo delle finanze, di fronte al Teatro Massimo Bellini.
Erano naturalmente buoni quelli delle storiche pasticcerie e rosticcerie di via Etnea: Mantegna, Savia, Spinella, e la pasticceria svizzera di Caviezel (anche se in quest’ultima non raggiungevano il livello eccelso delle pizzette).
Ma i migliori che io abbia mai mangiato si facevano alla rosticceria Giardini, in via Etnea, fra il gran caffè Lorenti (ex Birreria Svizzera nel Palazzo Tezzano, poi divenuto sede UPIM) e la Sala Roma, un cinema di cui mio nonno fu a lungo direttore negli anni trenta, e che venne demolito, nella seconda metà degli anni cinquanta, insieme all’intero Palazzo Spitaleri, per far posto alla Rinascente.
In tal modo gli arancini cedettero il passo alla grande industria e alle sue appendici commerciali. In una battuta si può dire che gli Agnelli a Catania trangugiarono tutti gli arancini di Giardini, con una voracità che notevolmente superò quella del Commissario Montalbano di fronte agli arancini preparati da Adelina.
Vi erano poi gli arancini preparati da mia madre, con il mio aiuto, il 31 agosto di ogni anno, giorno del mio onomastico di allora (adesso non più perché il Santo è stato soppresso) nella casa di villeggiatura a Mascalucia. Ma questa è un’altra storia, che forse racconterò in seguito, anche perché il mio giudizio è sicuramente di parte.
Gli arancini erano fatti nella tipica forma conico – piramidale, e anche in questo caso tralasciamo l’annosa controversia se vadano consumati iniziando dal vertice, come tradizionalmente ricordo si facesse, o dalla base.
Ma di altrettanto buoni come quelli di Giardini ne trovai un’altra volta, verso la fine degli anni ottanta, durante un venerdì di Pasqua, a Enna, dove li avevo provati in altre occasioni, sul retro di un noto ristorante nel centro storico. Ma quelli che provai in attesa che uscisse dalla chiesa la processione del Venerdì Santo, con le confraternite degli incappucciati, e il carro della Madonna tirato dagli uomini vestiti di bianco, che ondeggiavano per lo sforzo e da lontano avevano l’apparenza di un enorme bruco…. Sì, quelli erano nettamente migliori, o forse così mi parvero e me li ricordo, perché ero con la mia bella, in pieno innamoramento, non abitavo più a Catania, riscoprivo la Sicilia, e con gli occhi dell’innamorato tutto mi appariva bello e gradevole.
Questi erano tondi, di dimensioni quasi doppie rispetto a quelli di Giardini, e avevano un ripieno eccezionale.
Perché il ripieno è uno dei segreti degli arancini, gli altri due essendo il condimento e il tipo di riso che si sceglie.
La tradizione degli arancini prevedeva due varianti: al ragù e in bianco. In questi ultimi il ripieno era con burro (o besciamella), un tocchetto di mozzarella, piselli e prosciutto cotto.
Non esistevano allora quelli agli spinaci, con il ripieno alla norma, alla parmigiana di melanzane e tutte le altre innovazioni recenti. Ma il classico a mio avviso resta quello al ragù.
Quella degli arancini è una ricetta in cui è difficile dare le quantità degli ingredienti. Procederò quindi in via approssimativa, tenendo conto che quando preparo il ripieno qq faccio grandi dosi perché mi serve anche per fare la pasta al forno, di solito gli anelletti palermitani.
E allora :
1,5 kg di carne di vitellone adulto, così composta: 1 kg di polpa e 500 grammi di punta di petto. Quest’ultima, con il suo grasso, serve a rendere più saporito e più morbido il ragù
700 grammi di riso (se ne ricavano fra 10 e 14 arancini, secondo le dimensioni). Non usate riso originario, che si spappola, ma neanche riso parboiled i cui chicchi non s’incollano bene. Io preferisco un semifino, come il Vialone nano, a chicchi piccoli, o come l’Arborio o il Roma
2 kg di pomodori rossi ben maturi. L’ideale è il riccio di Pachino, ma se non lo trovate usate dei San Marzano. Se siete fuori stagione, e non trovate pomodori maturi, usate 6 confezioni da 400 grammi di pelati, ma soltanto di buona qualità, come i San Marzano dell’Agro Sarnese – Nocerino
olio extra vergine d’oliva per il ragù
cipolle bionde o bianche in grandi quantità
piselli freschi. Se siete fuori stagione usate soltanto quelli piccoli o medi surgelati. Quelli secchi o in scatolarovinerebbero tutta la vostra fatica.
Va comunque detto che alcuni non gradiscono i piselli nel ragù e neanche nell’arancino. E’ vero infatti che rovinano il sapore del ragù. Perciò, se li amate e volete metterli nel ripieno, cuoceteli a parte, seguendo le mie istruzioni
Per friggere gli arancini: olio d’oliva, soltanto se siete sicuri della sua genuinità. Spesso in commercio si trovano mescolanze immonde con altri oli. In alternativa preferisco olio di semi di arachidi, che tiene bene le alte temperature in frittura ed ha un sapore neutro
una bustina di zafferano
30 grammi di formaggio piacentino di Enna grattugiato
1 kg di caciocavallo ragusano fresco, in alternativa caciocavallo dolce (la gran parte servirà per la pasta al forno)
un bicchiere di vino rosso, preferibilmente Nero d’Avola
4 uova
farina
pangrattato a grana fine
sale grosso e fino q.b.
Preparazione
Preparate in primo luogo il ragù.
Tagliate la carne in cubetti di circa 1,5 cm di lato, eliminando tutte le callosità ma non il grasso. Se la punta di petto ha una quantità eccessiva di grasso, toglietene una parte. Fate in modo che i dadini che ricavate dalla punta di petto abbiano ciascuno, per quanto possibile, del grasso.
Tritate 3-4 cipolle di grandi dimensioni e mettetele a stufare in un tegame antiaderente con olio extra vergine e un po’ d’acqua.
Quando le cipolle sono morbide e dorate, alzate il fuoco e aggiungete i dadini di carne, facendoli rosolare poco per volta, in modo che non formino liquido.
Quando saranno rosolati, sfumate con il vino rosso e aggiungete i pomodori che avrete privato dei semi, della buccia e delle parti dure, e quindi frullato per ottenere una passata.
Frullateli direttamente se usate i pelati in scatola.
Aggiungete il sale e fate cuocere a fuoco lento per circa 2-3 ore, fino a quando il liquido non si sarà addensato. Il segreto per una buona riuscita di questo ragù è che la carne si spappoli. Soltanto allora potrete spegnere il fuoco e lasciare coperto a raffreddare.
Preparate poi i piselli facendoli cuocere con cipolla tritata e un po’ di sale.
Dopo circa 90 minuti da che il ragù avrà cominciato a bollire, preparate il riso. Mettetelo a cuocere con poco sale grosso in acqua (eventualmente aggiusterete con sale fino a fine cottura) e scolate al dente.
Quando il riso inizia a bollire prendete un po’ d’acqua bollente e in una ciotola sciogliete lo zafferano.
Avrete intanto preparato due uova battendole con la frusta e un pizzico di sale.
Aggiungete alle uova il piacentino grattugiato e lo zafferano sciolto in acqua (verificate che sia fredda per non cuocere le uova)e un po’ di scorza di limone grattugiata.
Versate il riso in una ciotola grande e impastatelo con un mestolo della salsa di ragù (senza carne) e le uova battute.
Rimescolate e amalgamate ben bene e lasciate raffreddare per un paio d’ore, in modo che perda di umidità e l’amido lo addensi.
Quando il ragù sarà pronto, potete preparare gli arancini .
Avrete intanto tagliato a pezzetti molto piccoli e sottili il caciocavallo e battuto le altre due uova.
Versate l’olio in un tegame antiaderente, adatto alla frittura, alto e largo abbastanza da contenere 2-3 arancini, che dovranno essere completamente ricoperti, e accendete il fuoco.
Mettete sul palmo della mano una quantità di riso pressandola bene in modo da formare una piccola cavità al centro, dove mettere la carne con un po’ di sugo, il caciocavallo e i piselli. Regolatevi sulle quantità in modo da non eccedere nel ripieno, altrimenti uscirà durante la cottura o sarete comunque costretti ad aggiungere altro riso e vi verrà troppo grande, ma neanche di metterne troppo poco, il che non darà sapore all’arancino.
Ricoprite, pressate e amalgamate, dando la forma che meglio preferite. La più semplice, e quella che preferisco, è sferica.
Passate l’arancino nella farina, poi nell’uovo battuto e infine nel pangrattato.
Verificate la temperatura dell’olio con un termometro per alimenti e mettete a friggere, cercando di mantenere costante la temperatura (altrimenti gli ultimi arancini verranno troppo scuri).
Usate un ramaiolo per tirarli fuori quando saranno dorati e fateli sgocciolare su carta da frittura.
Serviteli caldi ma non bollenti, badando a non ustionarvi le papille gustative.
Dedico questa ricetta a Giulia, che spero di rivedere presto, Ad Alessio, al quale li ho preparati sabato sera, dopo che me li chiedeva da qualche anno, e a Elisa, con la quale e l’intera famiglia, spero di replicarli fra qualche mese.