Mezzi paccheri all’agro di alalunga e finocchietto selvatico
Ieri ho comprato il pesce, che di martedì, qui nella bassa bolognese, arriva fresco fresco.
Certo non come si può sperare in luoghi di mare, soprattutto dove la pesca è effettuata da piccole imbarcazioni e dunque si ha il prodotto a zero o quasi miglia nautiche.
Ma diciamo che si tratta di pesce pescato nel corso della settimana precedente, arrivato in porto il sabato o la domenica e sui mercati al dettaglio il martedì.
Se è stato conservato bene nel ghiaccio, si può mangiare, ed era questo il caso dell’alalunga, il ton blanc dei francesi, che giaceva in bella vista sul ghiaccio del banco del pesce.
Era stato pescato per l’appunto in Atlantico nord orientale probabilmente al largo delle coste dell’Irlanda, ed era di dimensioni ragguardevoli rispetto a quelli che siamo abituati a vedere in Mediterraneo.
Ne ho comprato un trancio, bastevole (come direbbe Montalbano) per due o tre persone, poi sono stato incuriosito dalla testa intera, in vendita a un euro e cinquanta il chilo.
Pesava oltre un chilo e mezzo e con due euro e trenta centesimi me la sono portata a casa. È vero, era stata tagliata alla bell’e meglio, aveva ancora le branchie e parte del fegato e del cuore, con i quali i miei gatti hanno consumato un gustoso antipasto. Ma insomma, dopo un po’ di lavoro, ci ho cavato i piedi, come si usa dire da queste parti.
Opportunamente ripulita, messa a bagno in acqua fredda e risciacquata più volte per intenerirla facendole perdere il sangue e contemporaneamente per sbiancarne le carni, si lascia riposare giusto il tempo di portare a ebollizione una grande pentola con acqua e sale, succo, polpa e scorza di un limone, ed erbe aromatiche (rosmarino, menta, timo, uno spicchio d’aglio e mezza cipolla).
Per ottenere buoni risultati non soltanto l’acqua deve’essere quanto più abbondante possibile, ma occorre che il tonno non sia messo a freddo ma soltanto quando l’acqua bolle vigorosamente.
In tal modo diventa bianco e morbido.
Si fa cuocere per circa 20-30 minuti, un procedimento che rassoda le carni mantenendole morbide e si ottiene qualcosa di simile a un prodotto come il tonno da fare sott’olio, che però richiede tempi di cottura decisamente più lunghi.
Con la parte meno pregiata della polpa ne son venuti fuori cinque pasti per gli altrettanto famelici e ghiotti di pesce miei felini.
Con la parte migliore, quella sul dorso (‘u “cozzu” per i catanesi), ho ricavato circa duecento grammi di ottima polpa con la quale si può fare, a scelta, il paté di tonno o una salsa per condire la pasta.
Ho scelto quest’ultima soluzione e ho utilizzato dei mezzi paccheri di Gragnano. In realtà sulla confezione sono chiamati calamari, ma solo perché somigliano agli anelli di calamaro pronti per la frittura. Ho cambiato nome per non fuorviare i miei affezionati lettori.
La preparazione è molto semplice, e con duecento grammi di polpa potete preparare per quattro persone.
In un tegame fate soffriggere in olio extravergine d’oliva uno spicchio d’aglio, che poi toglierete, e aggiungete la polpa di alalunga sminuzzata, senza bisogno di salare.
Saltate appena un po’, poi fate sfumare con del vino bianco (ideale una malvasia secca vinificata in purezza). Poco prima che il vino sia completamente sfumato aggiungete del finocchietto selvatico finemente tritato, spegnete il fuoco e coprite con il coperchio per fare insaporire.
Mettete a cuocere i mezzi paccheri (o calamari) di Gragnano, aggiustate con poco sale a due terzi di cottura, scolate al dente con un ramaiolo e insaporite nel tegame.
Guarnite i piatti con un rametto di finocchietto selvatico.
Beveteci sopra lo stesso vino bianco che avete utilizzato per la cottura dell’alalunga.