I risultati del progetto realizzato da Acli Sicilia, insieme a Enaip e a Cospes, sono stati illustrati ieri all’Hotel Nettuno di Catania. Gli immigrati che hanno partecipato al corso saranno avviati alla professione di mediatori culturali.
È giunto ormai quasi alla conclusione il progetto “Per un lavoro senza frontiere” realizzato da Acli Sicilia, insieme a Enaip e a Cospes, e che si è aggiudicato un bando regionale su finanziamento del Fondo sociale europeo.
Il progetto scommette sugli immigrati che arrivano in Italia per trovare lavoro, a volte perseguitati dalla guerra, altre volte per fame o anche solo per transitare verso altre mete europee.
“Per un lavoro senza frontiere” inoltre, spiegano gli organizzatori, non si occupa solo di formare i partecipanti, ma assicura loro un titolo valido e garantito, e in una certa misura, un rapporto di lavoro che avvii il loro nuovo curriculum. La figura prescelta è quella più utile in questo momento storico: il mediatore culturale, il migrante che aiuta altri migranti.
Ieri è stato il momento dei bilanci e i risultati del progetto sono stati illustrati all’Hotel Nettuno. Subito dopo i saluti di Franco Luca , presidente Acli Catania, sono intervenuti Marisa Acagnino , presidente della Sesta Sezione Civile del Tribunale di Catania, Fiorentino Alessandro Orazio Trojano , assessore al Welfare Comune di Catania, Paolo Trovato, direttore Centro per l’impiego di Catania. Ha concluso i lavori Santino Scirè , vicepresidente Acli nazionali e presidente Acli Sicilia. Stefano Parisi, presidente Acli Caltanissetta, Nicola Perricone, presidente Acli Agrigento, e Giuseppe Peralta, presidente Acli Trapani sono intervenuti per raccontare le fasi del progetto.
Per formare venti mediatori culturali sono state necessarie cinque tappe: la creazione di una rete di servizi, la selezione dei destinatari giusti, l’accompagnamento individuale e le work experience. Queste ultime sono delle vere e proprie esperienze di lavoro, distribuite tra sportelli immigrazione delle Acli dislocati tra Agrigento, Catania, Caltanissetta e Trapani , servizi pubblici connessi alla salute o alle materie fiscali.
Inoltre durante i venti mesi di formazione i corsisti hanno maturato un’indennità in corso di erogazione.
Scirè ha spiegato che solo una piccola parte del percorso è stata dedicata alla formazione teorica, mentre “tutto il resto è stato on the job, con borse lavoro retribuite. infine hanno conseguito la qualifica a coronamento dei venti mesi di progetto”.
Importante anche la testimonianza di Alessia Vecchio e Valentina Scilletta, entrambe psicologhe, che nella veste di orientatrici nel bilancio di competenza per il Cospes hanno curato i contatti diretti con i corsisti, poi divenuti mediatori: “Abbiamo incontrato un livello di cultura alto – hanno dichiarato- che ha permesso uno scambio proficuo e utile anche per noi. Non hanno trovato particolari difficoltà ad ingranare nè ad integrarsi”.
Per l’assessore Trojano, “la mediazione culturale è importante sia durante la fase dell’emergenza che in quella successiva. Spesso ci troviamo impreparati di fronte a questi migranti, persone con culture e modelli diversi. Non si può ragionare senza capire che aspettative hanno questi nostro ospiti e da quali contesti arrivano.”
“L’accoglienza italiana non è ancora da considerare la migliore possibile, come purtroppo le cronache di questi anni hanno più volte evidenziato” ha sottolineato la Acagnino. “Bisogna uscire da questa logica emergenziale che vede la Sicilia solo come terra di passaggio, ragionare in termini di integrazione per chi vuole rimanere e organizzare il trasferimento per coloro che scelgono di andare via. In termini giuridici – ha continuato il presidente della Sesta sezione del Tribunale di Catania – il problema si pone proprio per la regolarizzazione di coloro che vogliono restare in Italia. Le possibilità concrete di rimanere in condizioni di legittimità sono pochissime e sono per la gran parte legate allo status di rifugiato politico o soggetto che gode della protezione internazionale. La maggior parte di coloro che approdano in Italia – ha concluso la giurista – non hanno purtroppo conoscenza di quali siano le modalità attraverso cui ottenere questo riconoscimento anche se ne hanno diritto. Il mediatore, dunque, ha anche questo delicato: accompagnare l’immigrato nell’iter di regolarizzazione e dunque nel pieno processo di legittimità per poter anche lavorare”.