Convegno dibattito a Palazzo Tezzano con storici, sociologi, personalità ecclesiastiche, per comprendere meglio i meccanismi, a volte perversi, di una delle feste più famose al mondo.
di Elisa Catanzaro
Un dialogo, un confronto, a tratti serrato, tra diversi esponenti del mondo della cultura, quello che si è svolto nella sede della Società di Storia Patria, e dedicato alla principale festa cittadina, terza per importanza nel mondo fra quelle religiose.
L’appuntamento intitolato La Festa di Sant’Agata a Catania. Devozione partecipazione mercato, organizzato dalla Società con il Dipartimento di Scienze Politiche, è stato occasione per presentare due recenti pubblicazioni dedicate al tema.
Dopo l’apertura dei lavori da parte di Giuseppe Barone, direttore del Dipartimento, Rossana Barcellona e Teresa Sardella hanno parlato del saggio La festa di Sant’Agata tra devozione popolare, strumentalizzazioni criminali, ambiguità istituzionali e impegno civile, inserito nel volume di Tommaso Caliò e Lucia Ceci, L’immaginario devoto tra mafie e antimafia, edito da Viella nel marzo 2017.
Entrambe associate di Storia del Cristianesimo al Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania, le due studiose hanno fatto “uno spoglio articolato della produzione giornalistica attraverso la quale ‘leggere’ la festa e il suo territorio”. Successivamente hanno analizzato gli atti del processo per infiltrazioni mafiose nella festa, conclusosi il 10 luglio del 2015 in secondo grado con una sentenza di assoluzione per gli otto imputati “Perché il fatto non sussiste”.
Ma – spiega subito Sardella – “l’obiettivo del lavoro non si è orientato nel senso di una ricostruzione dei fatti di cronaca per la ricerca di ‘una’ verità che fosse ‘la’ verità, ma nel senso di proporre il confronto fra le diverse voci narranti”.
E il confronto è abbastanza impietoso.
“La Sicilia – dice ancora Sardella riferendosi al processo – se ne esce con racconti parziali, reticenti. Il settimanale “Prospettive” lascia perplessi per la sua posizione quasi del tutto ex silentio proprio sugli avvenimenti degli anni in oggetto, e, più in generale, sul problema mafia”.
Del lavoro sulla fase processuale ha parlato invece Barcellona citando un passo fondamentale della sentenza d’appello: “In questa sede non si vuole certamente negare che l’intera organizzazione dei festeggiamenti agatini fosse pesantemente inquinata a causa della infiltrazione mafiosa. […] le risultanze processuali consegnano il quadro di una macchina organizzativa e gestionale gravemente contaminata[…] E tale contaminazione appare inquietante perché colpiva uno dei gangli dell’apparato organizzativo – il Circolo cittadino Sant’Agata”.
Dunque come si è potuti arrivare all’assoluzione? – si chiedono le due studiose -.
“Se la giustizia ha fatto il suo corso a chi passa la palla del problema ancora insoluto dei festeggiamenti agatini?” – dice Barcellona, e Sardella chiosa: “Il fatto che la Giustizia si sia così pronunciata, esime la Chiesa dal prendere atto di certe cose?”.
E concludono “se e quando la Chiesa interviene, perché interviene -o è intervenuta- solo sull’onda di scandali, processi, e fatti di fronte ai quali sottrarsi non è dato?”
Da sin.: Mangiameli, Catanzaro, Barone, Barcellona, Sardella
Sono seguiti gli interventi di Rosario Mangiameli, Ordinario di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze Politiche, e del sociologo Raimondo Catanzaro, autori di Sant’agata a Catania tra religiosità e giochi di potere, pubblicato sulla Rivista Il Mulino, 1/2017.
Mangiameli ha sottolineato come esista un sempre maggior numero di studi su fenomeni religiosi che vanno a occupare altri territori ma che, nel caso specifico, la complessità è stata quella di trasferire le riflessioni sul rapporto tra criminalità e festa, in una grande città come Catania.
“Ciò che abbiamo tentato di fare – ha detto – è capire cos’è la festa dal punto di vista sociale e politico e perché ci sono diverse istanze e protagonismi che si stratificano nel suo controllo”.
E la risposta secondo lo storico è che “C’è un potere religioso, politico, sociale, che cerca di utilizzare la festa per “stare” nella città. La festa cioè ha un ruolo importante nella costruzione dell’identità cittadina“.
Ed è così che si spiegano gli innumerevoli tentativi di incursione nella festa da parte di tutti i politici catanesi.
“Si può tentare una lettura correlata con le vicende della politica catanese – conclude – in cui alla maggiore o minore autorevolezza della stessa corrisponde una maggiore regolamentazione o una deregulation nella festa”.
Subito dopo Catanzaro ha analizzato il modo in cui sono cambiati i tempi e gli spazi della festa.
“Sono partito da una domanda semplice – ha detto – perché la Santa arriva in ritardo? Cercando le risposte sono approdato a un momento della festa che mi ha sempre colpito: l’offerta della cera. Ha incidenza questo aspetto sui tempi della festa?”.
Il sociologo spiega quindi che sì, incide notevolmente dilatandone i tempi attraverso le numerose fermate necessarie per scaricarne l’eccesso, e parla di un “doppio circuito della cera“: “Viene acquistata attraverso il meccanismo del mercato, ne esce come dono, come offerta appunto, vi rientra come merce”.
Ma accanto a una dilatazione dei tempi, conclude, ve n’è anche una degli spazi.
“Lo spazio fisico tra le candelore e la vara si è ampliato nel tempo, probabilmente perché chi regola la festa tende a distinguere l’aspetto religioso da quello più popolano. E cosa succede in questo spazio vuoto? Viene riempito da altri soggetti! Ecco il secondo circuito della cera: sono i portatori degli enormi cerei che funzionano come una fisarmonica e determinano assieme, come detto nell’istruttoria del processo, al tentativo di monopolizzare i cordoni della vara, un allungamento ulteriore dei tempi”.
Catanzaro parla quindi del crearsi di una nuova dinamica tra chi allunga i tempi, chi li amplia e chi li riempie, i cui effetti, ossia la maggiore durata dei festeggiamenti, sono utili al proliferare degli affari dei venditori ambulanti, e che quindi “forse questo è un altro dei modi in cui criminalità organizzata e mafia si possono inserire nella festa”.
Da sin.: Mangiameli, Catanzaro, Barone, Zito
È poi intervenuto monsignor Gaetano Zito, vicario episcopale per la Cultura della Diocesi che ha esordito dicendo “Finalmente ne parliamo, questa città ha bisogno di discutere non soltanto a ridosso della festa, ma anche nel corso dell’anno”.
Sulla dilatazione dei tempi Zito ha affermato che “la festa è molto cambiata grazie al lavoro che stiamo facendo in Cattedrale e alla coraggiosa opera sinergica di diversi soggetti. Voglio chiarire poi – ha detto – che il Circolo di Sant’Agata non è responsabile della festa, e non è l’unica associazione agatina cittadina, ma responsabile è la Cattedrale. Un altro punto importante è la differenza tra diverse personalità giuridiche ecclesiastiche, Curia, Diocesi, Capitolo della Cattedrale. Questo è un vulnus della sentenza emessa per la morte del devoto che non fa distinzione tra 5/6 personalità giuridiche diverse, imputando la responsabilità ora all’arcivescovo ora al parroco, ora al tesoriere del Capitolo. Dal mio punto di vista già su questo quella sentenza si potrebbe impugnare”.
Poi rispondendo all’interrogativo di Barcellona e Sardella sul ruolo della Chiesa rispetto alle infiltrazioni mafiose nella festa ha ricordato come il tema Chiesa e Mafia in Sicilia sia stato affrontato già nel ’96 in un apposito seminario di studi e che già nel 1920 i vescovi siciliani scomunicarono i rappresentanti della criminalità. Sulla festa di Sant’Agata, ha detto poi, “il clero catanese ha la grande responsabilità di averne preso le distanze negli anni ’80: quello è stato il momento in cui altri hanno preso spazio e ora scardinare questi spazi non è facile”.
Infine il monsignore ha concluso: “La città non può non fare i conti con la festa perché la festa è la città. Nell’ultimo decennio abbiamo affrontato la grande sfida di armonizzare la festa di popolo con la festa cristiana. Certo ancora c’è molto da fare, ad esempio tornando al tema della cera, è necessario recuperare il valore della processione del 3 febbraio e offrire la cera solo in quell’occasione e non il 4 e il 5”.
Ai lavori sono intervenuti anche gli autori del volume edito da Viella,Tommaso Caliò e Lucia Ceci, e Salvo Adorno e Arianna Rotondo.