Grillo e il problema della leadership. Interrogativi sul concetto di democrazia.
di Elisa Catanzaro
Cosa farà questa volta Beppe Grillo, estrometterà dal dialogo coloro che hanno creduto in lui e che ora si spaventano del potere che gli hanno consegnato, (come ha fatto con la nota esponente m5s zittita platealmente dopo l’apparizione televisiva) o andrà incontro alle richieste di parte della base che gli chiede di non mandare tutto all’aria proprio ora che il movimento ha conseguito un risultato importante?
Ciò porta a interrogarsi sul rapporto tra leadership e democrazia.
Il capo, chi dà le direttive in una democrazia sana, fino a che punto deve imporre le proprie decisioni e quando invece deve aprire alle idee espresse dai suoi seguaci?
Le contraddizioni all’interno del Movimento 5 stelle, si erano già rivelata a livello locale in occasione delle scorsa campagna elettorale regionale e in quest’ultima politica. È stato subito chiaro cioè che l’eterogeneità degli attivisti 5 stelle, determinava risposte agli antipodi fra membri dello stesso meet up, anche su questioni di sostanziale importanza. Figuriamoci dunque fra deputati e senatori sparsi in tutt’Italia con annessi attivisti, la cosiddetta base distribuita su tutto il Bel Paese.
Ma le contraddizioni e l’eterogeneità di un movimento portano con sè la necessaria conseguenza che a decidere sia il leader? E che tipo di democrazia è quella in cui il leader decide da solo?
Su questo punto, poi, cosa c’è di diverso tra i 5 stelle e i partiti tradizionali?
Anche chi vota Pd in questi giorni ha lamentato il mancato ascolto della base, in primis nella scelta, ad esempio di Renzi al posto di Bersani, e anche fra gli elettori del Pdl ci sono argomenti di discordia con il grande capo.
Perché allora nel partito di Grillo viene evidenziata la linea dispotica?
Perché l’ex comico è davvero maggiormente incline all’assolutismo?
Perché i deputati dei cosiddetti partiti tradizionali sono più “sgamati” quindi si compattano maggiormente e ipocritamente per tornaconto personale sulla linea del loro leader?
Perché gli stessi partiti sono più strutturati e quindi automaticamente danno maggiore forza ai loro leader?
Insomma la democrazia vera qual è, e soprattutto è possibile una democrazia senza leader?
Se i grillini dovessero ribellarsi al loro guru una volta entrati in Parlamento cosa succederebbe?
E perché se questo spiraglio sembra già intravedersi, lo stesso non si può dire per deputati e senatori Pd e Pdl?
Domande in attesa di risposte e giochi tutti aperti dunque, sull’esito dei quali si stabilirà la storia di un Paese e, parlando di Catania, gli equilibri in vista delle prossime amministrative.
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